Skip to content Skip to footer

La vita quotidiana


Uno spaccato di vita quotidiana narrato attraverso gli oggetti di uso comune; le suppellettili destinate ad imbandire la tavola, le lucerne in bronzo o in terracotta per illuminare la notte, i grandi contenitori quali anfore e dolii per contenere il cibo e trasportarlo, una bilancia con accanto i contrappesi in basalto, il necessario per tessere e filare. Ma l’esistenza è fatta anche di passioni più alte; ed ecco stili e tavolette per appuntare i propri pensieri prima di fissarli, magari su un foglio di papiro o un rotolo di pergamena. E se, come diceva Oscar Wilde, “niente è più necessario del superfluo” appaiono allora spilloni per acconciature, contenitori di profumi e splendide collane. E per tentare la sorte dadi, pedine ed astragali.

Al centro della sala spiccano tre sculture destinate molto probabilmente all’arredo di domus: una Afrodite intenta a prepararsi per il bagno, un giovanissimo Dioniso vestito solo di una pelle di capretto e una Nike che sorge, sensualissima, da una cornucopia.

Masterpieces

Lastra neoattica con processione delle Stagioni

Provenienza sconosciuta
Marmo bianco I sec. d.C.

Sul sottile pannello marmoreo, parte di un monumento di cui oggi è difficile ipotizzare l’originaria destinazione, compaiono due figure femminili che avanzano verso destra, stringendo nelle mani attributi che le rendono identificabili come le personificazioni dell’Inverno e della Primavera. Vestita di abiti pesanti per affrontare i rigori del clima, e trasportando cacciagione (anatre, lepri e un cinghiale), avanza per prima l’Inverno, seguita dalla compagna che indossa vesti più leggere, più adatte alla mitezza del clima primaverile, come le primizie e il piccolo capretto che porta con sé. Una piccola porzione di un fregio certo più ampio, che comprendeva anche l’Estate e l’Autunno, forse inserite in un racconto più complesso, che probabilmente era inerente alla rappresentazione delle nozze di Peleo e Teti, genitori dell’eroico Achille. Una raffigurazione identica dei due personaggi compare infatti sul celebre sarcofago Albani ai Musei Vaticani, che conserva l’intera scena. Meno probabile sembra la destinazione funeraria del fregio ascolano, per il ridotto spessore della lastra di marmo, e per la particolare lavorazione della faccia posteriore. Il rimando al sarcofago ci offre d’altra parte preziose coordinate sulla dipendenza neoattica del rilievo, di fattura straordinariamente pregevole: dalle vesti ondeggianti, sospinte dall’incedere delle fanciulle, ai corpi che traspaiono dalle stoffe, e agli animali resi con vivace naturalismo. Fu probabilmente realizzata in una bottega di Roma, forse risalente alla prima età imperiale.

Statua di Afrodite che si slaccia il sandalo

Da Ascoli Piceno
Marmo II-I sec. a.C.

Una figura più piccola del naturale che possiamo ben immaginare come arredo nelle stanze di una villa urbana simile a quelle non lontane, scavate sotto il Palazzo di Giustizia. Doveva ornare una ricca domus, o forse un edificio pubblico o un tempio, la piccola statuetta che rappresenta la dea Afrodite, colta nell’intimità del semplice, umanissimo gesto di slacciarsi il sandalo, mentre si prepara al bagno. Un atteggiamento di domestica consuetudine, ma quanto mai studiato nel complesso ritmo che oppone il braccio destro disteso e abbassato verso il piede, alla gamba sinistra piegata al ginocchio e sollevata, il volto un po’ abbassato a seguire l’azione e il braccio sinistro aperto all’esterno su un pilastrino d’appoggio ora scomparso.

Il marmo dalla grossa grana cristallina, ma specialmente lo schema iconografico della statuetta, che trova confronti con opere realizzate da maestranze di Delo, paiono autorizzare un’attribuzione dell’opera ad officine dell’isola. Voluta da un ricco committente, o forse preda di guerra, la statuetta replica la più amata tra le rappresentazioni dell’avvenente dea dell’amore e della bellezza.

Trapezoforo

Da Falerone (FM)
Marmo fine I – inizio II sec. d.C.

Letteralmente il termine trapezoforo indica il sostegno per un tavolo. L’uso di sostegni figurati inizia con l’età ellenistica e prosegue nel mondo romano, spesso grazie ai contatti con l’Oriente. Frequentemente tali sostegni hanno la forma di zampe leonine ma, talvolta, presentano figurazioni umane, come in questo caso. Il trapezoforo si apre formando in un cespo di foglie di acanto da cui fuoriesce una figura femminile alata. La figura è inarcata, con il busto inclinato verso destra e il volto girato verso l’alto a sinistra; il braccio destro è sollevato; il braccio sinistro è piegato e la mano poggia sul fianco. La testa, reclinata all’indietro, mostra occhi infossati e una piccola bocca; i capelli, divisi nel mezzo in due bande, sono raccolti in un nodo sulla sommità del capo e in uno chignon sulla nuca. Il modellato morbido e con teneri passaggi chiaroscurali e l’impostazione dinamica della figura rendono probabile la sua esecuzione entro la fine del I sec o all’inizio del II sec. d.C..

Rinvenuta alla fine dell’Ottocento nell’antica Falerio Picenus, forse a seguito di scavi clandestini, fu acquistata da un cittadino di S. Vittoria in Matenano (FM) il quale la rivendette per una grossa somma ad un antiquario di Bologna. Grazie al celebre architetto Giuseppe Sacconi, la statua fu recuperata e, dopo il sequestro da parte delle autorità, venne affidata al Museo di Ascoli. È Giulio Gabrielli, in uno dei suoi taccuini, a raccontarci di questo fortunato recupero e della difficoltà nel trasferire il pezzo ad Ascoli che vi giungerà nel maggio del 1891.

Statua raffigurante un satiro o il giovane Dioniso

Da Maltignano (AP) loc. La Macera
Copia romana da originale greco
Marmo II sec. d.C.

Una bella statuetta di età medio-imperiale di un giovane Dioniso, esempio caratteristico di “scultura d’arredo” propria della pars urbana delle ville rustiche di campagna. Fu rinvenuta occasionalmente nel 1879 e registrata come proveniente appunto da una villa rustica romana rintracciata in contrada La Macèra, a Piani Morti presso Maltignano. In realtà la provenienza

esatta è piuttosto dubbia, tanto che lo stesso Giulio Gabrielli, quando riuscì a farla acquisire al Museo nel 1880, annotò che il venditore sosteneva di averla trovata invece al Passo di Civitella.

La scultura proverrebbe dunque da un’area posta lungo la viabilità di collegamento tra Ascoli e Teramo. La piccola scultura, alta m. 0,53, rappresenta Dioniso giovane; mancano gli avambracci e parte degli arti inferiori, dal ginocchio in giù. Il giovinetto è quasi completamente nudo, indossa soltanto una pelle di capretto, che pende abbastanza morbidamente dalla spalla destra e copre il fianco sinistro. Il capo, volto a destra e lievemente abbassato, è circondato da una corona d’edera. I capelli sono folti e riccioluti scendono lateralmente a boccoli sulle spalle. Dietro la gamba destra si conservano i resti di un tronco che doveva fungere da sostegno. Il modello iconografico discende sicuramente da un prototipo alto-ellenistico, rielaborato nel pieno II secolo d.C., come mostra il trattamento del modellato del corpo e soprattutto l’esecuzione, molto chiaroscurata e morbida, della capigliatura. Si tratta, come abbiamo anticipato, di una piccola scultura destinata a decorare giardini, fontane o ambienti domestici di particolare raffinatezza, dove la sfera dionisiaca trovava la più appropriata collocazione, evocando paesaggi e atmosfere proprie del mondo della natura, del bosco e della selva.

error: Content is protected !!